L’affermazione: Il linguaggio crea la realtà (in Linguaggio e realtà, in questa Rivista – Improvvisi) non sembri priva di senso o mera provocazione; infatti, non si intende dire che non esiste una realtà dei fatti (o quotidiana, se volete), quanto che questa, e l’altra (quella del linguaggio), sono realtà parallele. Le vicissitudini individuali (e quotidiane, appunto) si affastellano nelle più varie ed infinite combinazioni secondo sincronismi imprevedibili: insomma, ogni giorno ci succede qualcosa di: innocuo, poco grave, molto grave, sorprendente, irritante, doloroso entusiasmante, e così via, e per adesso poco interessa il correlato aspetto emotivo. Fatto sta che ogni giorno viviamo una qualche esperienza che è sempre la sintesi di incontri/scontri, sovrapposizioni, coincidenze, dialoghi, riflessioni, e così via; questa realtà, che possiamo definire fattuale, cioè composta di singoli fatti, in seguito la raccontiamo attraverso il linguaggio, e non fa differenza se la raccontiamo ad altri oppure soltanto a noi stessi (attraverso private riflessioni) o al più al nostro terapeuta. Anzi, a maggior precisione, ciascuna di queste esperienze è vissuta nel linguaggio e non – banalmente – con il linguaggio, perché esse si rappresentano in forma linguistica, accompagnate o meno da immagini, sensazioni, suoni e altro che a loro volta sono inglobati in quella forma. Un’esistenza umana fatta di rappresentazioni a-linguistiche non è concepibile, non è raffigurabile: io non vi riesco e voi? Ecco, quindi, che il linguaggio – astuto serpente tentatore (e non uso il riferimento biblico a caso) – diviene padrone del campo e mescolando sensazioni, percezioni, tratti caratteriali (tali per cui si sottolinea qualcosa e si svaluta qualcos’altro), superstizioni, ferrei pregiudizi, illusioni, ricordi (rimossi o meno), offre la sua ricostruzione dei fatti che – a conti fatti – sono sempre qualcosa di diverso da quelli occorsi poche ore prima. La realtà rappresentata è, perciò, diversa dalla realtà fattuale, e siccome la realtà non può che essere raccontata la conclusione pare inevitabile: è vero che ci sono due realtà parallele, ma la sola che si afferma è quella proposta dal linguaggio che, peraltro, non ha competitori, rivali o contraddittori. E se a qualcuno venisse in mente di obiettare, ingenuamente, che a quei fatti originari vissuti dal narratore ha assistito un terzo soggetto che potrà dire se il racconto è fedele o meno, è sufficiente replicare che anche questo testimone oculare darebbe la sua versione a mezzo del linguaggio così che saremmo sempre stritolati nelle medesime spire. Arrendiamoci una volta per tutte a questa prepotente dimensione umana che allo stato non ha eguali né paragoni, senza per questo rinunciare ad ulteriori riflessioni (ad esempio quanto sia esatta o meno la distinzione tra reale e virtuale), senza soprattutto rinunciare ad analizzarne le conseguenze, le implicazioni, gli atteggiamenti esigibili. Nella prossima puntata.
Michele Mocciola