La guerra dei sound

Le scelte improbabili della Festa della Musica a Brescia

Brescia, 25 giugno 2017. Ieri, per tutta la giornata, la popolazione bresciana ha potuto assistere a qualcosa di così straordinario, da lambire i confini dell’epico: la Festa della Musica. Con un dispiegamento di forze oltre ogni logica e ogni aspettativa, grazie all’impiego di 3500 strumentisti e chissà quanti volontari e addetti agli impianti di amplificazione, per un totale di 90 postazioni disseminate in tutta la città, ogni palco ha visto i gruppi, presentati a volumi imbarazzanti, alternarsi ogni 20 minuti dalle 10 di mattina fino a mezzanotte, doverosamente intermezzati da musiche riempitive. Data la difficoltà di avere un’immagine chiara dello sviluppo dell’evento, tramite pregevole riassunto volantinato o mappa facilmente consultabile, anche a causa della moltitudine di proposte, le modalità per approcciare questa giornata, a tutti gli effetti sportiva, si riducevano a due possibilità, che in fondo sottintendono la stessa cosa: o girare tra i vari palchi, seguendo un itinerario cittadino artistico-musicale-emotivo altamente casuale; oppure rimanere fermi in un posto, dove magari si esibiva una band d’interesse, e sorbirsi le seguenti sperando nella fortuna. Scelto il secondo approccio, mi sono subito convertito al primo.
Ora, io faccio un lavoro particolare, lavoro in un negozio di strumenti musicali: tutto il giorno, dunque, sento le prove dei clienti su ogni tipo di strumento. È naturale che la cosa abbia sviluppato in me un gran desiderio e una grande considerazione del silenzio. Penso inoltre che il silenzio sia una parte fondamentale della musica, poiché quest’ultima nasce dal silenzio e vi ritorna; in essa il silenzio stesso, le pause, cantano. Il lettore può quindi immaginare il mio stato d’animo, sapendomi lanciato in mezzo al trambusto, circondato dai più svariati sound systems, con i più svariati generi musicali (in verità, rock-pop-blues per la maggiore, grandi amori del bresciano medio)… La circostanza può essere resa molto bene con questo fatto esemplare: un mio amico, che cercava di parlare al telefono, allontanandosi da un palco e trovandone un altro dietro l’angolo ha esclamato: “Ma è un incubo! C’è musica ovunque!”.
La Festa della Musica è stata quindi interpretata dagli organizzatori come accerchiamento, morsa: conquista della città con una lotta senza quartiere senza via di scampo. Chi avesse tentato l’impresa di passeggiare in una giornata e in una serata caldissime per le vie del centro, avrebbe visto la sua lucidità mentale intaccata in due modi: la spossatezza estiva, alimentata dal calore dei generatori elettrici e delle spine della birra all’aperto, e un senso di disorientamento dovuto alla graduale transizione da un sound all’altro, in una riproposizione tridimensionale dello zapping, come se nella testa ci fosse una radio inarrestabile. Se a metà strada tra un palco e l’altro ci si poteva trovare fra due canzoni sovrapposte, in un lento trapasso indistinto, in frangenti particolari, come in Piazza Vittoria, si potevano percepire almeno tre esibizioni contemporaneamente! La sublimazione dell’anarchia, in una città tanto quadrata! Una scorpacciata musicale che sfida quelle gastronomiche dei matrimoni napoletani: continua e infinita. Non restava che abbandonare allora anche l’approccio dell’ascoltatore attento: tutto portava allo stordimento e a bevande ghiacciate. E qui un punto è stato azzeccato: l’evento come calamita per tutta la provincia, occasione di andare alla città e fare la bella vita: devastarsi e cercare un partner.

Ricalibrato allora il tiro, assodato che il blues pop rock bresciano è un genere intramontabile, seppure esausto e impoverito, non restava che partire sull’onda delle emozioni da film, anzi, da video musicale: motivi sopportabili per cinque minuti al massimo verso il protagonismo della propria vita sentimentale. Ascoltando un gruppo, ci si sente come al liceo… poi ci si accorge che i componenti sono più vicini ai quarant’anni che ai trenta… Se ci si guarda attorno, le strade sono percorse da persone scomposte dal caldo e dai modi paesani, oppure addobbate come per una festa in maschera. Gli eventi che coinvolgono la città sono rari e quando ci sono, sono occasioni di svago, senza pensieri. Tutta la provincia e tutta la città si uniscono nella moltitudine tanto agognata. E allora è azzeccata anche la frase del sindaco di Brescia, in un’intervista alla televisione locale, pur se calibrata per giustificare le zappe alla chitarra: la Festa della Musica è un momento di espressione, e di serenità nel godere di questa espressione. Sicuro, serenità; ma aggiungo: un poco ebete. E necessariamente alcolizzata, per quanto mi riguarda.

Dopo la seconda ora di volumi invadenti, iniziavano le prime allucinazioni, vacillamenti, sonnolenza profonda, assenza di argomenti: situazione e sintomi in tutto e per tutto fantozziani. Ma le persone intorno a me, anche se affaticate, non sembravano percepire questa assurdità suprema. La Festa della Musica è osteggiata dai musicisti soprattutto per una ragione, scoglio preponderante che non fa loro neanche considerare l’evento per come si svolge effettivamente: e cioè che chi si esibisce in questa festa lo fa a titolo gratuito, grande beffa nei confronti della categoria, che vede questa celebrazione come farsesca e irrispettosa, conferma di com’è tenuta in conto la professione del musicista in Italia. Però, dall’ottica cinica del marketing e della gestione degli eventi (cavalli da tiro del carretto musicale), l’escamotage della performance gratuita è un grande punto a favore degli organizzatori, che con un budget irrisorio riescono a tirare su tutta questa cagnara, con un grande – sospetto – ritorno economico. Certo, si potrebbe anche dire: la cagnara non è tanto un risultato, quanto una sconfitta a causa del budget limitato, poiché la qualità generale è medio-bassa; ma gli aspetti strutturali dell’organizzazione fanno presumere che la confusione, l’esagerazione, la sovrabbondanza siano volute. Questo è un lato della vita culturale bresciana a cui ho accennato in un altro articolo: l’amore per le abbuffate.
Alla quarta edizione, l’evento non smentisce la sua capacità attrattiva verso gli esercizi commerciali del centro, polo della movida (ecco il busillis!), e nei quartieri più a margine, per un principio che personalmente condivido (anche se mi si può opporre che è preludio al fenomeno della gentrificazione), per cui l’integrazione passa attraverso la vita “culturale” e sociale. A ben vedere, tirando le somme, i punti funzionanti sono principalmente commerciali, e qui si cela il significato preponderante di questa Festa della Musica. Inoltre, la Festa riconferma le sue proprietà epiche e allucinatorie: è un bombardamento a tappeto, l’apoteosi dell’inquinamento acustico, un enorme ventaglio di proposte che si annullano l’un l’altra e si risolvono nell’indistinzione, una pazzia grandiosa per un delirio collettivo. Incastrati in un reticolo di amplificazioni moleste e indifferenti, trasognanti in mezzo alla folla, presi per sfinimento dall’ostinazione dei sound che si danno battaglia da un lato all’altro delle vie e delle piazze, ci si sente come quei dervisci, che cercano l’Assoluto attraverso la moltitudine, lo stordimento e l’esasperazione.

Giacomo Cattalini

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