Ricalibrato allora il tiro, assodato che il blues pop rock bresciano è un genere intramontabile, seppure esausto e impoverito, non restava che partire sull’onda delle emozioni da film, anzi, da video musicale: motivi sopportabili per cinque minuti al massimo verso il protagonismo della propria vita sentimentale. Ascoltando un gruppo, ci si sente come al liceo… poi ci si accorge che i componenti sono più vicini ai quarant’anni che ai trenta… Se ci si guarda attorno, le strade sono percorse da persone scomposte dal caldo e dai modi paesani, oppure addobbate come per una festa in maschera. Gli eventi che coinvolgono la città sono rari e quando ci sono, sono occasioni di svago, senza pensieri. Tutta la provincia e tutta la città si uniscono nella moltitudine tanto agognata. E allora è azzeccata anche la frase del sindaco di Brescia, in un’intervista alla televisione locale, pur se calibrata per giustificare le zappe alla chitarra: la Festa della Musica è un momento di espressione, e di serenità nel godere di questa espressione. Sicuro, serenità; ma aggiungo: un poco ebete. E necessariamente alcolizzata, per quanto mi riguarda.
Dopo la seconda ora di volumi invadenti, iniziavano le prime allucinazioni, vacillamenti, sonnolenza profonda, assenza di argomenti: situazione e sintomi in tutto e per tutto fantozziani. Ma le persone intorno a me, anche se affaticate, non sembravano percepire questa assurdità suprema. La Festa della Musica è osteggiata dai musicisti soprattutto per una ragione, scoglio preponderante che non fa loro neanche considerare l’evento per come si svolge effettivamente: e cioè che chi si esibisce in questa festa lo fa a titolo gratuito, grande beffa nei confronti della categoria, che vede questa celebrazione come farsesca e irrispettosa, conferma di com’è tenuta in conto la professione del musicista in Italia. Però, dall’ottica cinica del marketing e della gestione degli eventi (cavalli da tiro del carretto musicale), l’escamotage della performance gratuita è un grande punto a favore degli organizzatori, che con un budget irrisorio riescono a tirare su tutta questa cagnara, con un grande – sospetto – ritorno economico. Certo, si potrebbe anche dire: la cagnara non è tanto un risultato, quanto una sconfitta a causa del budget limitato, poiché la qualità generale è medio-bassa; ma gli aspetti strutturali dell’organizzazione fanno presumere che la confusione, l’esagerazione, la sovrabbondanza siano volute. Questo è un lato della vita culturale bresciana a cui ho accennato in un altro articolo: l’amore per le abbuffate.
Alla quarta edizione, l’evento non smentisce la sua capacità attrattiva verso gli esercizi commerciali del centro, polo della movida (ecco il busillis!), e nei quartieri più a margine, per un principio che personalmente condivido (anche se mi si può opporre che è preludio al fenomeno della gentrificazione), per cui l’integrazione passa attraverso la vita “culturale” e sociale. A ben vedere, tirando le somme, i punti funzionanti sono principalmente commerciali, e qui si cela il significato preponderante di questa Festa della Musica. Inoltre, la Festa riconferma le sue proprietà epiche e allucinatorie: è un bombardamento a tappeto, l’apoteosi dell’inquinamento acustico, un enorme ventaglio di proposte che si annullano l’un l’altra e si risolvono nell’indistinzione, una pazzia grandiosa per un delirio collettivo. Incastrati in un reticolo di amplificazioni moleste e indifferenti, trasognanti in mezzo alla folla, presi per sfinimento dall’ostinazione dei sound che si danno battaglia da un lato all’altro delle vie e delle piazze, ci si sente come quei dervisci, che cercano l’Assoluto attraverso la moltitudine, lo stordimento e l’esasperazione.