In difesa di Roberto Bolaño (e della Letteratura)

A proposito di Roberto Bolaño leggo su Una fogliata di Libri (Il Foglio mercoledì 20 settembre 2017) un breve affresco di M. Marchesini che inizia con un’affermazione perentoria: In Bolaño, la Storia è risucchiata dall’immaginario. I massacri scivolano in una liquida sequenza di immagini “senza l’audio”, che nella sua insignificanza onirica, misteriosa e sopraffattoria non conosce attriti né confini. L’evocazione generica da parte di Marchesini si attaglia sia al romanzo subito dopo citato – Notturno cileno – sia agli omicidi seriali del più corposo romanzo 2666, così che quell’affermazione diviene il tratto distintivo (e differenziale) dell’intera opera del Nostro. L’analisi critica prosegue serrata e, per sottolineare come in Bolaño i delitti diventino astratti e l’equivalenza dei destini una ossessiva ripetizione, Marchesini risalta il dato linguistico (aggiungo io, per non essere da meno: strutturale) dell’effetto domino della paratassi perentoria e delle anafore, sicché l’ultima eco dell’opera di Bolaño è, quasi ineluttabilmente, l’ultrasuono dell’angoscia. Un finale che, secondo il critico, risuona anche nell’opera dell’altro grande, David Foster Wallace, dove l’analoga infinità delle esperienze genera una sofferenza smisurata.
Al contrario, Marchesini si entusiasma per l’opera di Carrère dove si respira tutt’altra aria, tanto da definirlo un guaritore. Insomma, il critico letterario Marchesini, esaminate le opere del terzetto, ne traccia gli aspetti obiettivi traendone le dovute conclusioni.
Ergo: meglio leggere Carrère, che redime e salva, che non Bolaño o Foster Wallace, che angosciano da morirci.
In disparte se sia preferibile la redenzione/salvezza all’angoscia, perché il rischio è sempre il riferimento a concetti ad uso e consumo di chi li fa propri con una conseguente eccessiva concentrazione del tossico elemento soggettivistico, il confronto leale senza pregiudizi sul piano testuale dell’opera di Bolaño (ci si limita a lui per adesso) smentisce l’esegesi di Marchesini.
Quanto è lontana l’opera di Bolaño dall’angoscia! Nei suoi romanzi i crimini restano crimini, la violenza resta violenza, il mistero della Vita e della Morte restano tali, nel travolgente ed appassionante resoconto della realtà che diviene intreccio narrativo dell’Autore, dove si rinnovano la finzione del romanzo come la finzione di quella che noi crediamo e chiamiamo realtà. D’altronde sono entrambi (realtà e romanzo) fatti di parole, cioè di linguaggio. Soltanto chi presuppone una realtà reale da trasporre nel romanzo ha bisogno di renderla socialmente apprezzabile, sentimentalmente educativa, cioè, in ultima sostanza, di edulcorarla, per conquistare l’ingenuo (e anche pavido) cuore del lettore. Chi invece come  Bolaño (non meno di Foster Wallace) osserva la realtà, divertendosi, annoiandosi, piangendo, con occhi umidi o sbarrati, allargando le braccia o chinando la testa, non ha bisogno di altro se non ciò che ha esplorato per consegnare al lettore, sempre avido di sé, la sua natura umana, quella più vera del vero. Il fatto è che in Bolaño l’incantamento (linguistico prima di tutto), la magia, l’orizzonte luminoso, la Poesia che genera prole solo per amore (in carne ed ossa: si chiama Lalo Cura figlio dei poeti realvisceralisti Arturo Belano e Ulises Lima e di Maria Expósito, maga e curandera) sorvolano il resto lasciando al lettore la meraviglia, il sospetto che, il bisogno di una riflessione, il desiderio di rileggere ancora una volta lui, e tutti gli scrittori che in qualche modo affollano le sue pagine. Le ossessioni, le ripetizioni, le anafore e le paratassi, diventano, allora, momenti essenziali di un’esistenza umana (un’esistenza grandemente linguistica) che, la sera, sotto la luce della luna, può trovare la sua pacificazione soltanto nella Letteratura, caso mai rileggendo o ascoltando – sotto l’egida vocale di Carmelo Bene – Canto notturno di un pastore errante dell’Asia del nostro mai tanto amato Giacomo Leopardi. E a questo punto è d’obbligo rinviarvi, per rimarcare la distanza critica, allo Speciale su Roberto Bolaño, nel n. 8 della Rivista: http://tinyurl.com/isorci-RB.


Michele Mocciola

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