Recensione di: Giuseppe Vannicola, Tetano Metafisico, Nino Aragno Editore.
“Silenzio! Silenzio! Silenzio!”
Può un libro così intenso (di quasi mille pagine) e spesso così incongruo, indicare qualcosa di così notturno, ma ugualmente sublime? Può questo libro rivelare la sua assoluta attualità parlando di un tempo passato, di un altro inizio di secolo (il primo Novecento), parlare, sì parlare, soprattutto di vita attraverso la morte?
A mio giudizio Giuseppe Vannicola, un critico e metacritico, uno sconosciuto anche in Italia, lo può.
E questo anche grazie al lavoro e alla saggezza della curatrice Stefania Iannella.
Giuseppe Vannicola scrive di tutto, da spasmodiche poesie sature di sentimentalità esacerbata o di follia sapiente, tra piccoli inni ironico-blasfemi, poesie sempre dedicate ad occasionali ”signorine” vive o morte.
Mi è impossibile scrivere degnamente come meriterebbe, su questo libro, perché il contenuto mi spiazza e mi confonde fino al godimento.
Giuseppe Vannicola vive in un ambiente saturo di pubblicazioni papiniane e prezzoliniane. Scrive tantissimo ma decide quasi politicamente di non pubblicare mai niente per davvero… di accennarlo sì, ma per poi sottrarlo e lasciarlo sul quaderno.
Scrive soprattutto di musica, ”La Musica differisce tra tutte le altre arti, e, libera d’ogni rapporto con la forma dei fenomeni [è] astratta, assoluta, completa”. Scrive del suo amato Wagner, un Wagner forse anche influenzato dai vari Anton Bruckner o Gustav Mahler a volte più wagneriani del maestro.
Scrive sui libri e dei libri, spesso senza fare riferimento ad un autore particolare, Vannicola scrive su libri che avrebbe voluto leggere e soprattutto scrivere lui stesso:”Vi sono libri che per costringerci a un ritorno sopra noi stessi e per attivare la nostra riflessione, si appellano a tutte le nostre inquietudini personali, e che nondimeno suscitano in noi meno ansiose interrogazioni”.
Scrive ”di” guerra (1915) ma non ”contro” la guerra, lo fa come un cronista impossibile e folle.
Ma scrive anche di popolo. L’utopia vale a dire quella parte dell’impegno politico che si fonda sulle grandi idee, non su interessi specifici. Utopia che non è il contrario del realismo, è il contrario della realpolitik. Il realismo e la realpolitik non sono la stessa cosa. La realpolitik è la politica asciugata dalle idee e ridotta a sola tattica e amministrazione.
Non è guidata dai principi ma solo ed esclusivamente dai propri obiettivi. Gli obiettivi ammettono qualunque mezzo. Il realismo è una cosa diversa: mette la politica con i piedi sulla terra, non gli permette di volare nel mondo dei sogni e di liberarsi da ogni responsabilità. L’utopia è realista, non è sogno. E chiama a fortissime responsabilità.
Tommaso Moro – che inventò l’utopia moderna – testimoniò la sua utopia pagandola con la sua vita sul patibolo.
Patibolo oltre il quale c’è anche la assurda possibilità di trovare felicità. C’è anche la possibilità che la tua vita diventi un giardino di opportunità per essere felice…Utilizzare il dolore per lapidare il piacere. Utilizzare gli ostacoli per aprire le finestre dell’intelligenza. Non mollare mai… Non rinunciare mai alla felicità, poiché la vita è uno spettacolo incredibile!
Guido Zeccola
Poeta, scrittore, autore di “Det sakrala”, redattore ed ex direttore editoriale della rivista svedese “Tidningen Kulturen”.