Improvviso americano

Fotografia di Nicoletta Gerbi

Eccomi qui, dall’altra parte del globo, in una città a me sconosciuta, in un quartiere abbarbicato (Beacon Hill) che sa di erba fresca e foglie secche. I muri robusti escludono la mia passeggiata solitaria. Non un negozio, non un bar. Come ci sono finito? Era meglio farsi il giro in hovercraft insieme agli altri, maledizione a me. Tento di entrare in una chiesa anabattista: è chiusa. Raccolto in questa quiete residenziale quasi inglese mi sento definitivamente sperso: ritorno al rumore della città. Mi ritrovo nei blocks, isolati grandi e granitici tra cui serpeggia un traffico titubante. Sono stato fra l’altro gentilmente edotto da un collega di New York, la cui vita per sua stessa ammissione è molto dura qui a Boston come juvencini a Milànou, che i guidatori della zona rispondono in gruppo al nome di Massholes (dalla fusione di Massachussets, lo Stato di Boston, e asshole, coglione). Distratto per poco da questa verità umanizzante, è da immigrato che giro col naso all’aria, ammirando il silenzio dei palazzi di vetro, pietra e acciaio come il sogno di un Baudelaire redivivo. Freddi, indifferenti, segreti, ammiccano all’eternità. E in tutto questo, anche nella maestosa Public Library, coi suoi leoni, Trionfi della religione e Saghe di non ricordo chi, il folgorante, disorientante, squisito, ondivago patrimonio americano dell’Unesco: le ragazze. Anche i ragazzotti, certo, a ognuno la sua mania immotivata. Ma le ragazze… labbra latine su carnagioni di latte… magnifici miscugli, purezze paradossali!…

Ma non c’è tempo. Il dovere chiama, a Nord, verso la pace del Maine bucato di specchi che raddoppiano gli alberi e la luce. Quel Maine che è patria dei personaggi di Stephen King e di quella iattura della Signora in giallo. Non un’onda. I suoi tramonti ottobrini si diffondono in tutta l’immensità del cielo e si riflettono sull’erba in un effetto che dicono alcuni chiamarsi blur in fotografia, altri aggiungono essere una manipolazione postuma, fatto sta che esistono, e sono arancioni. Su un furgone degno dei gruppi rock più viziosi, salutiamo dunque Baast’n*, con la sua parlata sbracata, in direzione Waterville (appunto) e i suoi abitanti (rari) dall’accento mangiucchiato. Tra i due punti: la strada. Una strada in tutto americana, circondata da un fitto assembramento di alberi, alberi di cui non so i nomi, veri padroni dell’area macchiata ai bordi dai primi imbarazzi autunnali, tanto che mi sembra di respirarla, quella natura sorvolata da aquile e cicogne in formazione, oltre i vetri del pulmino. Una strada lunga, vagamente ondulata, che taglia un paesaggio ripetitivo, con aperture improvvise, qualche bue al pascolo, cavalli al galoppo, forse un fienile, una casa isolata: brevi pause della foresta, accolte da pupille dilatate. Verso il Maine, alors, a considerare le aragoste bene imburrate! Ed è come un topolino, certo seduto comodo, sebbene costantemente insidiato da alci bramose di farsi investire, che mi vedo sospirare, a un palmo dal finestrino: America!

Giacomo Cattalini

Proprio come ne La donna della domenica, Fruttero-Lucentini.

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