Privata della presenza delle divinità (Poseidone e Athena) e del Coro (il surrogato di immagini e voci resta pur sempre un surrogato), Le Troiane di Euripide, messo in scena al Teatro Sociale di Brescia dal regista Andrea Chiodi (adattamento e traduzione di Angela Demattè), dopo un incipit promettente scolora – ahimè – sui binari del raziocinio contemporaneo, che tutto riduce alla comunicazione intersoggettiva di ciò che accade all’interno (sentimenti personali), oppure all’esterno (gli eventi funesti).
Spariscono le lamentazioni: del lutto collettivo, per una città all’apice della fortuna ora distrutta e bruciata, come del lutto famigliare, per le barbare uccisioni di Polissena e Astianatte, e sulla scena restano acute egocentriche grida, di una recitazione complessivamente sottotono.
Le voci del dramma della Città, un tempo potente e gloriosa, non rimbombano a segnare la tracotanza degli Achei invasori, tanto spavaldi da meritarsi il voltafaccia di Athena, loro divina alleata (vv. 65-97). Le profezie della folle Cassandra hanno lo stridio di un’insegnante incattivita, e non il timbro pauroso e disperato di chi vede senza essere creduta.
La questione della colpa primigenia dell’oasi d’orrore di una città rasa al suolo diventa un dibattito a due – in videoconferenza – tra Elena ed Ecuba, mentre l’assenza di Menelao dalla scena risolve tutto ad uno scambio di opinioni tra le due donne.
Poca roba, visto che si trattava di cosa pubblica, da discutere davanti a tutti, per vedere dove porta il desiderio, o addirittura Afrodite. Nel testo originale, infatti, per volontà di Menelao si contendono il campo l’autodifesa accorata di Elena, e l’accusa puntigliosa di Ecuba. La logica argomentativa sottende il duello; la decisione di Menelao è istantanea: la Morte insegue le propaggini dell’intera vicenda, Elena è condannata.
Quante mancanze tutte in una volta in questo adattamento.
Non mancano, al contrario, gli inserti di richiamo della più cruda contemporaneità: i migranti e i barconi, l’uccisione di Astianatte con l’acido (e non gettato dalle rocche di Troia come nel testo).
Consueto tributo dei nostri tempi ad un più terribile Minotauro, che reclama cronaca spiccia e giudiziaria, intenti manifesti di consonanza con il mainstream più all’avanguardia e di moda; l’idea di un progresso (si fa per dire) a senso unico ammalia gli intellettuali di oggi, mentre il corso drammatico dell’epopea dell’essere umano è occultato, e ne ignoriamo i funesti effetti.
Che tragico destino il nostro!
Spariscono le lamentazioni: del lutto collettivo, per una città all’apice della fortuna ora distrutta e bruciata, come del lutto famigliare, per le barbare uccisioni di Polissena e Astianatte, e sulla scena restano acute egocentriche grida, di una recitazione complessivamente sottotono.
Le voci del dramma della Città, un tempo potente e gloriosa, non rimbombano a segnare la tracotanza degli Achei invasori, tanto spavaldi da meritarsi il voltafaccia di Athena, loro divina alleata (vv. 65-97). Le profezie della folle Cassandra hanno lo stridio di un’insegnante incattivita, e non il timbro pauroso e disperato di chi vede senza essere creduta.
La questione della colpa primigenia dell’oasi d’orrore di una città rasa al suolo diventa un dibattito a due – in videoconferenza – tra Elena ed Ecuba, mentre l’assenza di Menelao dalla scena risolve tutto ad uno scambio di opinioni tra le due donne.
Poca roba, visto che si trattava di cosa pubblica, da discutere davanti a tutti, per vedere dove porta il desiderio, o addirittura Afrodite. Nel testo originale, infatti, per volontà di Menelao si contendono il campo l’autodifesa accorata di Elena, e l’accusa puntigliosa di Ecuba. La logica argomentativa sottende il duello; la decisione di Menelao è istantanea: la Morte insegue le propaggini dell’intera vicenda, Elena è condannata.
Quante mancanze tutte in una volta in questo adattamento.
Non mancano, al contrario, gli inserti di richiamo della più cruda contemporaneità: i migranti e i barconi, l’uccisione di Astianatte con l’acido (e non gettato dalle rocche di Troia come nel testo).
Consueto tributo dei nostri tempi ad un più terribile Minotauro, che reclama cronaca spiccia e giudiziaria, intenti manifesti di consonanza con il mainstream più all’avanguardia e di moda; l’idea di un progresso (si fa per dire) a senso unico ammalia gli intellettuali di oggi, mentre il corso drammatico dell’epopea dell’essere umano è occultato, e ne ignoriamo i funesti effetti.
Che tragico destino il nostro!
MIchele Mocciola
Che bel pezzo, complimenti!
Ma che spettacolo ha visto lei scusi? Un riadattamento funziona così, non siamo mica a Siracusa… io l’ho visto ed era stupendo, le quattro attrici strepitose, l’idea dell’ambientazione lockdown anche, anche di una Elena youtuber e una Cassandra diversa dal solito. Forse abbiamo visto un altro spettacolo, può darsi!
Ho visto il suo stesso spettacolo solo che a differenza di lei non credo che un commento critico si risolva scrivendo ‘stupendo’ ‘strepitoso’, aggettivi propri di un mero apprezzamento personalissimo. Il suo tono irato e personalizzato esprime, invece, una distanza rispetto alla mia formazione umana e culturale. Si goda i riadattamenti fuor dalle mura di Siracusa.
Michele Mocciola